Tra crisi e speranza. Su Zizek

Slavoi Zizek sul Corriere della Sera si interroga sulle ragioni del successo dei populismi ovunque nel mondo: con Trump, con la Brexit, con la destra in Polonia. Sostiene che per problemi globali come l'ecologia, la biogenetica, il capitalismo finanziario, non basta un generico movimentismo no-global occorrono forme di organizzazione politica strutturata "a livello statale e sovrastatale". Oggi che persino Fukuyama ha abbandonato il "sogno liberaldemocratico" occorre andar oltre il "fallimento dellle sinistre", sia dei "residui della socialdemocrazia", sia della "sinistra liberale" ("che forse non dovremmo neppure chiamare sinistra" chiosa Zizek).
Di qui l'assurdo che politiche di sinistra vengono oggi fatte proprio dalla destra e dai populismi; ricorda come in Polonia il governo di destra "ha abbassato l'età pensionabile, avviato enormi trasferimenti sociali, ad esempio alle madri, reso più accessibili istruzione e cure mediche". Certo quella polacca o di Trump è una "pseudosinistra protofascista", infiltrata da elementi nazionalisti e razzisti, ma altrettanto ovvio è constatare che se la sinistra abdica alla sua funzione storica di rappresentanza degli interessi dei più poveri e di loro promozione a livello di governo, poi il vuoto lo riempiono inevitabilmente altri e spesso i peggiori.
Insomma ricominciare a pensare alla politica nel mondo nuovo, in cui pure agli immani problemi si aggiungono anche speranze e possibilità inedite. Zizek propone alcune idee-guida: "superare lo Stato-nazione e la logica del mercato e reinvetare nuovi beni comuni". Il facile difficile a farsi. Ma sarebbe già tanto cominciare a capire e farsi capire.

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