Gramsci e il governo Conte
Che c’entra Gramsci con il nuovo governo della destra
e dei populisti? Gramsci c’entra sempre quando si tratta di Italia. Chi voglia
provare a capire i caratteri della nostra (eterna) crisi non può fare a meno
delle sue analisi. Che come quelle di ogni classico mantengono intatta la loro
attualità.
In una nota del Quaderno
6 scrive proprio del “populismo”: esso è una forma di neutralizzazione del
protagonismo delle masse; di fronte alla loro domanda di diritti e di potere le
classi dominanti “reagiscono con questi movimenti ‘verso il popolo’”. Il
“pensiero borghese”, aggiunge Gramsci, “non vuole perdere la sua egemonia sulle
classi popolari e, per esercitare meglio questa egemonia, accoglie una parte
dell’ideologia proletaria”. La parola chiave è “egemonia”. Il “populismo” è
insomma il travestimento della destra che si fa sinistra, per conservare il
potere economico, politico e culturale accoglie “parte” delle istanze di
sinistra: il lavoro, le tasse, le domande securitarie, le identità corporative
o di campanile, fino a certo deteriore “nazionalismo popolare” del ‘sangue e
suolo’.
In una nota del 1930 Gramsci aveva indagato il
fenomeno dall’altro verso: non dell’andare al popolo dei potenti, ma della
ripulsa della politica da parte del popolo. Popolo che prova “avversione verso
la burocrazia” o “odia il ‘funzionario’”, antipolitica
diremmo oggi, ma che pure non riesce a darsi una strategia autonoma di
alternativa. Si tratta, nota acutamente Gramsci, di “odio ‘generico’ ancora di
tipo ‘semifeudale’, non moderno, e non può essere portato come documento di
coscienza di classe”. Due elementi: è una politica immatura quella del populismo, regressiva; d’altro canto non è
possibile populismo ‘di sinistra’ (osservazione non scontata, non mancano oggi
infatti tentativi di declinazione progressiva del populismo, direi da Laclau a
Mélenchon). Occorre invece una critica
moderna dello stato di cose esistente. Che solo la politica può dare.
Contro populismo e antipolitica occorre non farsi corrivi con lo spirito dei
tempi, non porsi “sulla difensiva” rispetto al piano egemonico dell’avversario.
E invece la sinistra italiana, già agli occhi di Gramsci, scontava proprio un
difetto politico, di “scarsa efficienza dei partiti”, ridotti a “bande
zingaresche” o al “nomadismo politico”. L’eterno trasformismo della politica nazionale.
Questa doppia debolezza strutturale della destra di
governo e della sinistra di alternativa è la ragione profonda ed esaustiva
della fragilità storica della nostra democrazia, ma dell’intero nostro tessuto
civile, se è vero che in Italia non è “mai esistito un ‘dominio della legge’,
ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale e di gruppo”.
Si pensi proprio alla nascita del governo Conte. Sul
Manifesto Gaetano Azzariti ha parlato di “gestione del tutto privata della
crisi”, con “il programma di governo trasformato in un contratto tra due
signori stipulato davanti a un notaio, le cui obbligazioni sono assolte da un
loro fiduciario”. Populismo e privatismo possono ben andare insieme. Come per
altro avevamo imparato già da Berlusconi.
L’alternativa a tutto ciò deve essere chiara e netta:
tornare alla politica, al “dominio della legge”, dell’interesse generale.
Perché se certo la colpa dell’antipolitica è della politica, pure l’antidoto
all’antipolitica può essere solo di nuovo la politica. Combattere il populismo
si deve rivendicando la nobiltà della politica. E praticandola. Rischiando
anche l’impopolarità dell’antipopulismo (tanto più che il risultato
straordinario del referendum del dicembre 2016 prova che nei momenti topici il
popolo italiano mostra discernimento e intelligenza politica).
Ancora Gramsci ricorda che il fenomeno dell’“apoliticismo”
si spiega col fatto che i partiti in Italia “nacquero tutti sul terreno
elettorale” (oggi potremmo dire da Sinistra Arcobaleno a Liberi e Uguali),
risultato di “un insieme di galoppini e maneggioni elettorali, un’accolita di
piccoli intellettuali di provincia”, senza visione, senza strategia, senza
senso della politica.
Queste dunque le priorità della possibile e necessaria
alternativa al populismo: organizzazione delle masse popolari, autonomia
culturale e politica, un partito della sinistra in grado di corrispondere al
dettato dell’articolo 49 della Costituzione: “concorrere con metodo democratico
a determinare la politica nazionale”. Avendone un’idea possibilmente: di
interesse nazionale, di politica, di democrazia.
Fabio Vander
(apparso sul Manifesto del 12 giugno 2018)
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