Classe dirigente e suffragio universale

Interessanti considerazioni di Luca Ricolfi sulla "Stampa". Fatti come la brexit (dove i "borghi putridi" antieuropeisti hanno avuto la meglio sulla Londra cosmopolita) e la sconfitta di Fassino a Torino (dove un buon sindaco è stato spodestato da una grillina) dimostrano l'acuirsi della divaricazione fra popolo ed elite, sovranità popolare e classe dirigente.
Tema non nuovo questo della divaricazione, ma a detta di molti in via di radicalizzazione (diciamo almeno dal 1989 ad oggi). In Italia, in Europa, nel mondo.
Visto che il popolaccio, vecchio e ignorante, vota così male non sarà il caso di limitarlo questo suffragio universale?
Problema di democrazia quant'altri mai. E problema della sinistra, aggiunge Ricolfi. Nel senso che questa sempre più appoggia gli interessi dell'establishment e sempre meno quello dei "veri deboli" ("incapienti, artigiani, lavoratori autonomi, lavoratori in nero, disoccupati ecc."); ai quali non resta altro che i populisti (i populisti sono quelli che, almeno loro, fanno qualcosa per il popolo; magari male, ma nessuno lo fa meglio) e i demagoghi. Con grave scorno del "ceto medio riflessivo" (più medio che riflessivo) della sinistra.
In altre parole il problema è che in tutto l'Occidente è diffusa "una formidabile inadeguatezza delle rispettive classi dirigenti".
Ora poiché: "medice cura te ipsum", i "riflessivi" prima di pontificare sul 'popolo bue' comincino loro a darsi una regolata. Cioè stiano zitti.
A ben vedere: il facile difficile a farsi.

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