C'è chi scende e chi non sale

Le diseguaglianze sono esplose nel mondo. Dopo il 1989. Quando il capitalismo non ha avuto più rivali globali.
In Italia il tema della diseguaglianza è particolarmente grave, ma con un suo tratto peculiare.

Come dicono i sociologi l'"ascensore sociale" si è bloccato. Condannando in particolare i giovani, nel senso che è aumentato il "gap generazionale", per cui per i giovani c'è sempre meno lavoro, sempre meno opportunità di crescita e di carriera, impossibilità in pratica di avere una pensione e una pensione che sia decente.
A ciò si aggiungano 20 anni di crescita zero o comunque molto bassa. Il che ha portato all'irrigidirsi della cosiddetta "ereditarietà economica": chi è povero resterà povero, i figli di poveri resteranno poveri, ecc. Anzi semmai c'è stato un divaricarsi della forbice, con i ricchi sempre più ricchi e i poveri addirittura impoveriti.
Da dati di ricerca sociologica risulta che se in Italia per decenni c'è stato un allargamento della classe alta (in termini di reddito, cultura, potere ecc.), oggi non solo essa ha smesso di estendersi, cioè i poveri hanno smesso di ascendere, ma addirittura l'area ha preso a contrarsi. A chi non riesce più a salire si somma insomma chi ha preso a scendere. L'impoverimento del ceto medio.
Questo il quadro. Diseguaglianze e ingiustizie che appunto esplodono.
L'allarme è lanciato nientemeno che dal Corriere della Sera: "stiamo rischiando di entrare in un regime di mobilità discendente". Un problema sociale di portata storica. Ed evidentemente anche politica.
Perché oltre a quello dei poveri e degli indigenti, c'è anche un problema di qualità e quantità della classe dirigente nazionale (oggi appunto in entropia e non capace di reggere alla sfida della globalizzazione, in cui il management è sempre più internazionale, mette ai margini quello italiano, ecc.).
Occorre un nuovo 'patto fra produttori'? Indubbiamente il problema esiste. Una nuova classe dirigente dovrebbe porselo con urgenza.

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