Politica e antipolitica in Croce

In una intervista di Francesco Postorino a Salvatore Cingari, storico e specialista di Croce, viene affrontato in particolare il concetto di politica (e dei suoi difetti) del filosofo napoletano.
Cingari sostiene che Croce avrebbe una concezione conflittualista della politica, il suo limite sarebbe però che fra i conflitti non è centrale, anzi non è proprio presente, quello di classe.
A mio avviso è importante il fatto in sé che avesse una concezione agonistica della politica, del resto egli non esclude affatto che nel libero confronto e anzi nella lotta possano affermarsi posizioni radicali, tutte legittime, purché convengano nell'accettare la conservazione del sistema 'liberale', cioè delle libere istituzioni politiche che regolano appunto il conflitto. Insistere sul fatto che a titolo personale fu un conservatore e che preferì sempre le ricette economiche liberiste piuttosto che quelle socialiste, non è a mio avviso decisivo.
Semmai il vero difetto di fondo della concezione crociana della politica è che egli scinde politica e organizzazione, conflitto e istituzioni, lotta e partito. In questo senso può parlarsi di una politica antipolitica, di una politica a metà, dove appunto c'è il conflitto ma non l'organizzazione. Da qui una tesi sicuramente aberrante come quella del liberalismo come "metapartito" appunto una concezione della vita attiva e dinamica, ma senza strutture, senza programmi, senza punti di vista e programmi alternativi. Solo un 'grande centro' dei colti e dei virtuosi, una élite che dovrebbe avere il monopolio della cosa pubblica.
Quando si ragione dei limiti storici della democrazia italiana, prima di fascismo, comunismo e....5stelle bisogna parlare di liberalismo. Di liberalismo italiano, vera anomalia nel quadro del liberalismo e della democrazia occidentali.

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