Will capitalism die?

In Germania è uscito un libro dal titolo benaugurante Kaputtalismus, che ragiona della incapacità strutturale per il capitalismo globalizzato dalla crisi economico-finanziaria innestatasi nel 2008. L'autore del libro Robert Misik su Social Europe Journal ha ripreso le tesi del libro e d'intesa con il sociologo tedesco Wolfgang Streek si domanda appunto se il capitalismo non sia avviato alla morte.

I sintomi sono inequivocabili: una permanente "quasi-stagnazione", al più livelli di "mini-crescita", diseguaglienze ormai esplosive, privatizzazione praticamente di tutto, corruzione crescente. Del resto è stato un ex-ministro del governo Clinton a coniare la formula "secular stagnation" che mette la parola fine ad ogni ipotesi di sviluppo e ripresa. Rendendo appunto la crisi, permanente. E la fine poi non poi altro che questo: una crisi 'secolarizzata'.
Naturalmente Misik sa che la morte del capitalismo non è affatto certa né necessaria, ma sostiene che forse "una lenta progressiva transizione dal sistema capitalistico ad un diverso ordine economico" non solo è possibile, ma forse già iniziata. Del resto certe idee sono già presenti ed in atto nel programma ad esempio di Siryza, che prevede la decentralizzazione dell'economia, imprese autogestite,  cooperative così da creare di nuovo, dopo il liberismo, un "sistema misto" fondato appunto su imprese private, aziende statali, cooperative.
Anzi Misik arriva a parlare di "un nuovo tipo di socialismo", che si illude possa partire 'dal basso', a livello decentrato, anche se non si nasconde che decisivo rimane "un cambiamento fondamentale nelle politiche di governo".
Questo in effetti è il punto dirimente: un nuovo socialismo del XXI secolo che faccia direttamente i conti con la necessità di costruire una alternativa economica e politica al capitalismo e al suo sistema. 

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