Gli intellettuali e la crisi (degli intellettuali)

Oggi c'è uno sconcertante articolo di Piero Bevilacqua sul Manifesto. Un intervento che dà la riprova più patente della profondità culturale e politica in cui è caduta la sinistra italiana.
Bevilacqua inizia dicendo di voler avviare "una riflessione di carattere generale" sul rapporto oggi fra intellettuali e politica. Ripete ciò che è noto e cioè che c'è una egemonia forte del liberismo che è in primo luogo culturale che "divide e domina" gli uomini ecc. Poi però si dice convinto che esistano ancora tante energie critiche, nei diversi campi del sapere che si tratterebbe di aggregare e concentrare sull'obiettivo della critica del liberismo. Arriva addirittura a proporre una Lega Italiana contro il Liberismo per associare tutte queste energie. Pare incredibile a che punto siamo arrivati.
Bevilacqua incidentalmente riconosce che è venuto meno "un grande collettivo politico generale" che assommi le risorse critiche antiliberiste; solo che bisognerebbe dire con ben altra nettezza che finché non ci sarà un nuovo partito politico della sinistra, che torni a funzionare come "intellettuale collettivo", come "general intellect", non sarà possibile raccogliere le disjecta membra e rilanciare un progetto alternativo.
Agli intellettuali di sinistra oggi più che mai sfuggono i termini politici del problema. Anche del problema della cultura. Bevilacqua conclude dicendo che per sfuggire all'egemonia liberista occorre ritrovare "la capacità di aggregare, di creare presidi unitari" ecc. Ma questo è appunto ciò che può fare solo un partito politico, non la Lega dei cervelloni. Ché questo sarebbe nenache intellettualismo, ma cretinismo.

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