Landini l'antipolitico

L'intervista di Landini al Manifesto è solo l'ultima prova del radicamento e della pericolosità dell'antipolitica di sinistra.
Landini è il leader dell'antipolitica di sinistra.
Afferma chiaramente che il suo obiettivo non è un partito della sinistra e del lavoro; non vuole, dice, "una forza politica di riferimento", al contrario vuole che il lavoro diventi "tema trasversale", non solo a PD e Sinistra, ma addirittura fra sinistra e destra.
Fa anche un esempio storico del tutto strapalato, quello dell'approvazione dello Statuto dei Lavoratori negli anni 70, che fu votato, dice, "anche dalla Dc e dal PLI, partiti non certo di sinistra". Per concluderne stupidamente: "il lavoro era evidentemente centrale per tutta la politica". Già. Non sfiora Landini l'idea che la centralità del lavoro fosse dovuta proprio alla presenza di forti e radicate "forze poltiche di riferimento"; il PCI all'opposizione e il PSI (ad esempio di Brodolini) al governo.
Landini non capisce niente di politica e quindi non è in grado di valutare questi fattori.
E' come Bertinotti. Uno scemo.
Tanto è vero che alla domanda finale sul processo della cosiddetta "Coalizione Sociale" risponde che essa ovviamente non è un "partito", ma punta ad un vacuo "legame tra le persone" esemplificato a suo dire da fatti quali "lo sportello anti-usura di Cuneo", la "vendita scontata di libri scolastici" e "il Fondo di solidarietà" di Pomigliano (?).
Sarebbe questa l'alternativa di sinistra alla crisi della politca? O non siamo piuttosto in presenza del sintomo estremo di quella crisi?  

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