Fra "classe" e "nazione". Il partito oggi

Il politologo Piero Ignazi, su "Repubblica" del 21 ottobre, ricorda ai teorici del "partito della nazione" (da Reichlin a Renzi) che la retorica del partito "degli elettori" è pericolosa.
Che ancora oggi, nell'epoca 'post-moderna' e 'post-politica', "ritornare ai fondamenti organizzativi di ogni grande partito europeo è cosa saggia e prudente". Certo poi in tutta Europa si cercano "nuove forme di partecipazione interna, di trasmissione delle domande dal basso all'alto, di coinvolgimento dei cittadini ecc.", ma questa è altra cosa dal liquidare gli attuali partiti organizzati, radicati nel territorio, di massa. Non a caso sempre in Europa, "(r)esiste" ancora una forma partito i cui "riferimenti ideali si rifanno tuttora alla tradizione della sinistra di classe e del cattolicesimo democratico". Il "partito della nazione" è invece la notte in cui tutte le vacche sono nere, che "recluta a destra e a sinistra, attrae imprenditori e operai, laici e cattolici, dipendenti pubblici e partite IVA". Una cosa del genere può prendere piede in Italia solo per il "vuoto politico che attualmente circonda i democratici" e dunque Renzi.
Le riflessioni di Ignazi parlano alla sinistra. Alla sinistra che non c'è. "Vuoto politico" è essa come tale, oggi. E invece dovrebbe rianimarsi, organizzarsi, darsi un partito, un programma, una classe dirigente, un leader anche. Solo così potrà mettere in crisi il 'partito unico' di Renzi e il 'bipartitismo' che dovrebbe risultare da una legge elettorale ad hoc. Da stabilirsi, ovviamente, d'intesa con Berlusconi. Che non certo a caso giorni fa ha dichiarato di volersi presentare da sé alle elezioni, senza il peso di un nuovo 'centro-destra'.

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